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Mese

gennaio 2017

Senza limiti e confini*

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I muri sono ben poca cosa. Viviamo in un mondo liquido di idee condivise, pure troppo, e a fronte di una deriva populista in cui ognuno si sente in diritto di esprimere il proprio parere su tutto, indipendentemente dalla propria esperienza e dalla propria cultura, in cui l’educazione è spesso diventa facoltativa e di certo meno importante della voce alta e, appunto, dei muri da costruire attorno a sé stessi, esiste una forza che ha poco senso contrastare, una ibridazione di contenuti che favorisce la creazione di valore condiviso.

In un mondo in cui si demarcano i confini tra Stati con blocchi di cemento a leggi antistoriche contemporaneamente altri confini si aprono fruttuosamente e vengono meno distinzioni su cui fino ad ora abbiamo fondato le nostre basi.

La definizione di sharing economy sta assumendo nuovi caratteri e passa dalla condivisione dei mezzi a quella degli scopi, alla creazione di un’economia partecipativa non solo nei suoi attori ma anche nelle sue forme e nelle sue declinazioni. Viene meno, ad esempio, la linea di demarcazione tra imprese profit che sempre più spesso assumono carattere e scopi sociali e variegatamente redistributivi (non solo in termini economici ma anche e soprattutto sociali e conoscitivi) e associazioni che fino ad ora, sbagliando, abbiamo sempre immaginato lontane dal mercato. Un processo inclusivo in cui, ad esempio, chiunque in ogni forma preferisca può scientemente favorire la fruizione pubblica della cultura.

Allo stesso modo pubblico e privato diventano definizioni restrittive in un sistema di relazioni e di valori efficiente. Come Apollo, parola e conoscenza, e Dioniso, immediatezza e vitalità, si incontrano nel comune campo della follia intesa come qualità secondo le parole di Platone per cui i più grandi beni giungono a noi attraverso la follia, concessaci per dono divino così elementi apparentemente contrastanti rivivono in maniera più efficace e completa in quella terra di mezzo che è l’impianto economico e sociale in cui ogni giorno ci muoviamo e che è incondizionatamente una costante intersezione pensieri e di propositi accomunati dal personale indirizzo che ognuno di noi vuol dare. E posseduti da questa follia verranno donate molte e belle cose sia agli individui che alla comunità.

L’identità non perde significato ma diventa un punto di partenza , non deve essere una gabbia ma, al contrario, l’inizio di un percorso fruttuoso, la base di un confronto. La politica, quando è Politica, è il riassunto delle diverse esigenze per il bene comune non l’affermazione di una supremazia e questo vale nelle pratiche economiche come in quelle di governo.

È un campo aperto e franco. Non un muro, appunto.

(* Lo cantava Battisti già molto tempo fa: troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante)

Il 52% dei musei italiani è social ma i servizi digitali per la fruizione delle opere sono limitati.Un’analisi dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali

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Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano
http://www.osservatori.net

COMUNICATO STAMPA
Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali

 

 

Milano, 19 gennaio 2017 – 4976 musei, aree archeologiche e monumenti, 1 ogni 12.000 abitanti[1]: il patrimonio italiano è noto per la straordinaria ricchezza, ma rivela un potenziale di attrattività non ancora valorizzato. I trend negli incassi e negli ingressi sono positivi, ma nessun museo appare tra i 10 più visitati al mondo, uno su tre ha meno di 1000 visitatori l’anno e il 70% degli italiani non li visita.
“Le istituzioni culturali si trovano oggi di fronte a una doppia sfida: non basta attrarre visitatori, ma occorre trovare il modo per comunicare il proprio patrimonio in un modo nuovo, che lo renda più prossimo alle esigenze di conoscenza ed esperienza di cittadini e turisti” afferma Michela Arnaboldi, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali. “Molte istituzioni hanno raccolto la sfida di trasformarsi per divenire più efficienti e parlare a nuovi e vecchi pubblici. L’innovazione digitale, che ha determinato un radicale cambiamento dei paradigmi di mercato negli ultimi anni, potrebbe ora rappresentare un fondamentale fattore di trasformazione per il settore culturale”
Dalla classifica Istat dei servizi digitali più utilizzati nel 2015, i primi tre risultano dedicati alla comunicazione. Il sito web ottiene il primo posto: è adottato dal 57% dei musei; in seconda posizione si attestano gli account sui social network (Facebook, Twitter, Instagram) seguono in seconda posizione (41%) mentre la newsletter è terza (25%). I servizi dedicati alle collezioni seguono con percentuali più ridotte: ai piedi del podio si attestano gli allestimenti interattivi o le ricostruzioni virtuali, adottati dal 20% dei musei, e la connessione wi-fi gratuita, offerta dal 19%. QR code, servizi di prossimità, catalogo accessibile online o visita virtuale del museo dal sito web hanno tutte un’adozione tra il 13 e il 14%.
L’analisi effettuata dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali sul proprio campione di musei nel 2016 mostra inoltre un’ulteriore spinta verso l’impiego dei social network: il 52% possiede un account e la maggiore presenza (51%) viene registrata su Facebook (51%); seguono Twitter (31%) e Instagram (15%).
Queste alcune delle evidenze presentate oggi presso il Piccolo Teatro Grassi di Milano dalla prima edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano*.
L’Osservatorio ha condotto un’indagine su un campione di 476 musei italiani, pari a circa il 10% dei musei aperti al pubblico nel 2015: per ciascun museo è stata rilevata la presenza di un sito web e le sue funzionalità, la disponibilità di applicazioni, la presenza sui social network, su TripAdvisor e su Wikipedia. Inoltre è stata condotta un’analisi sugli account ufficiali di 125 musei italiani, presenti su Facebook, Twitter e/o Instagram, nel periodo Giugno 2016 – Novembre 2016, con l’obiettivo di scattare una fotografia della presenza online e social dei musei italiani, di individuare i servizi più implementati dai musei nel proprio sito web e di misurare il riscontro presso il pubblico delle attività social dei musei nei propri account ufficiali (tramite indicatori di reach e engagement).
Gli strumenti digitali utilizzati dai musei italiani
Considerando i musei che hanno un sito web (57% del totale) è emerso come non sempre esso sia costruito in modo da facilitare l’utente nell’interazione con i suoi contenuti. Partendo dalla home page, ad esempio, sono presenti delle chiare call to action rispetto alla biglietteria online solo nel 21% dei casi e all’accesso ai profili social nel 51%.
La traduzione in lingue straniere (principalmente l’inglese) è disponibile solo nel 54% dei casi e i contenuti solo nel 20% sono indirizzati a particolari categorie di utenti (famiglie, disabili, gruppi, etc.). I numeri sono ancora più piccoli quando si indaga la presenza di servizi più avanzati come la possibilità di acquistare online merchandising o materiale legato al museo (6% dei casi), effettuare donazioni (anche in questo caso 6% e per il 70% si tratta di musei privati) e crowdfunding (1%).
Per quanto riguarda la presenza sui social network, solamente il 13% è presente su tutti e tre i social più diffusi (Facebook, Twitter, Instagram); interessante anche notare che il 10% dei musei che non hanno un sito Internet è però attivo su Facebook.
Analizzando i messaggi postati si nota che la maggior parte di essi è di natura promozionale, riguarda la segnalazione di eventi o accoglienza (orari di apertura e promozioni sugli ingressi). Molto apprezzate sono, però, le rubriche in cui vengono proposte opere del museo o racconti di storie che ruotano intorno ad esse, ad esempio su particolari personaggi: solo chi offre contenuti di valore sulle opere esposte e sulle storie che ruotano attorno ad esse, infatti, riesce a creare engagement.
Nel campione analizzato, i 3 musei con il maggior numero di page like su Facebook sono i Musei Vaticani, seguiti dalla Reggia de La Venaria Reale e dal MAXXI al terzo posto.
Su Twitter, il primo posto per quantità di follower è stato conquistato dal profilo dei Musei in Comune di Roma mentre il MAXXI si attesta al secondo posto e il Museo del Novecento, a Milano, conquista la medaglia di bronzo. Su Instagram, invece, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia è l’ente più seguito, seguono il Triennale Design Museum di Milano e il MAXXI di Roma.
“Nonostante molti dei musei italiani abbiano appena intrapreso la strada dell’innovazione e dell’attenzione alle esigenze del pubblico, sui social network e nelle recensioni degli utenti l’apprezzamento prevale sulla critica” afferma Eleonora Lorenzini, Coordinatrice della Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali “Considerando i 476 musei studiati, ben il 62% di essi è presente su TripAdvisor. Di questi il 51% ha un certificato di eccellenza, con il 66% delle valutazioni pari o superiori a 4,5 stelle (su cinque stelle di valutazione massima).”
Analizzando infine il sentiment degli utenti social, sia italiani che internazionali, rispetto ai musei italiani si ha la conferma di questa percezione. È emerso, infatti, che il 46% dei contenuti pubblicati su Twitter ha una valenza positiva, mentre solo il 18% parla dei musei in modo negativo e il 22% neutro. Il restante 14% è off topic, ossia il post contiene il nome del museo ma senza riferimento esplicito al suo contenuto. Nonostante su molti servizi si riconosca una carenza di offerta, nel pubblico prevale dunque un atteggiamento positivo.
Le startup nell’ecosistema culturale italiano e internazionale
“Negli ultimi tre anni, le startup del settore finanziate a livello globale sono risultate 72 e hanno raccolto lo 0,4% delle risorse destinate alle nuove imprese Hi Tech, per un totale di 153 milioni di euro” afferma Eleonora Lorenzini, Coordinatrice della Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali “I finanziamenti si sono concentrati sulle attività di prenotazione e biglietteria (39%), crowdfunding (28%) e vendita di opere d’arte, anche digitali (20%). Sul fronte dei servizi B2B quali archiviazione e catalogazione l’investimento è estremamente limitato”.
Questo stesso orientamento si riscontra in Italia, dove delle 105 startup censite, sono pochissime quelle che si cimentano sul B2B, probabilmente a causa della “prudenza” che le istituzioni culturali del paese ancora mantengono verso gli investimenti digitali. C’è invece un notevole fermento sui servizi di supporto alla visita di musei e città, ambito in cui il mercato è maggiore anche per la forte connessione con il turismo (se ne occupa il 30% delle startup italiane). Un ulteriore ambito privilegiato è quello della prenotazione e biglietteria (21%), ma rimangono dubbi sulla sostenibilità di questa specializzazione per le startup italiane: chi opera in questo settore, infatti, si colloca in un mercato molto scalabile ma sempre più oligopolistico in cui le grandi Internet Company (del turismo ma non solo) hanno iniziato a investire con forza. È probabile che la forte specializzazione su nicchie e target specifici sia in questo caso l’unica possibilità di sopravvivenza.
Le sfide per il futuro
“È emerso dall’analisi un panorama di istituzioni culturali in fermento, che cerca la via per l’innovazione per superare le criticità e sperimentare nuove modalità di mediazione, spesso abilitate dal digitale”, conclude Michela Arnaboldi. “La prima sfida è legata alle risorse umane e alle competenze: le istituzioni culturali devono dotarsi di figure nuove, ibride, che diventino interpreti “digitali” del patrimonio, ossia di persone che conoscano il patrimonio, il suo valore, ma che al contempo siano in grado di valutare le opportunità offerte dal digitale. La seconda sarà rendere i progetti innovativi sostenibili economicamente sul medio e lungo periodo, magari attraverso nuovi modelli di business in grado di trarre risorse finanziarie proprio dai servizi abilitati dalla tecnologia. Un ambito su cui riflettere e investigare è infine il valore per il territorio, non ridotto alle misure più tradizionali di indotto economico, ma esteso alla funzione che le organizzazioni culturali possono avere per rivitalizzare aree dimenticate, o come luogo di confronto per i cittadini nuovi e vecchi.”

Anno nuovo e nuovi adempimenti. E altre scadenze

Con l’entrata in vigore del D.L. 193/2016, sono stati introdotti nuovi adempimenti a carico dei contribuenti.

In particolare l’art. 4 del D.L. 193/2016 prevede l’invio trimestrale della Comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute (c.d. Spesometro) e delle Comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche I.V.A. (liquidazioni iva trimestrali).

Spesometro  

Il primo dei nuovi adempimenti altro non è che un vero e proprio spesometro trimestrale. L’art 4 comma 2 del D.L. 193/2016 prevede quanto segue:

“I dati, inviati in forma analitica secondo modalita’ stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, comprendono almeno:

  1. a) i dati identificativi dei soggetti coinvolti nelle operazioni;
  2. b) la data ed il numero della fattura;
  3. c) la base imponibile;
  4. d) l’aliquota applicata;
  5. e) l’imposta;
  6. f) la tipologia dell’operazione.”

 Le scadenze per l’invio telematico per il 2017 sono quelle sottostanti:

TRIMESTRE Scadenza Comunicazione Trimestrale delle operazioni rilevanti ai fini Iva PER IL 2017
I trimestre (1.01 – 31.03) 25.07.2017

 

II trimestre (1.04 –  30.06)
III trimestre (1.07 –  30.09) 30.11.2017
IV trimestre (1.10 –  31.12) 28.02.2018

Lo spesometro trimestrale interessa tutti i soggetti passivi IVA, al momento infatti sono esonarati da tale adempimento soltanto gli agricoltori situati nelle zone montane.

L’invio dello spesometro trimestrale comporterà l’eliminazione dell’invio dei modelli intrastat acquisti. Quindi a partire dal 1/1/2017 andranno comunicati all’Agenzia delle Dogane soltanto i modelli Intrastat Vendite.

Liquidazioni iva trimestrali

La Comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche I.V.A.  è un nuovo adempimento che prevede obbligo di comunicare telematicamente, su base trimestrale, i dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche IVA.

Le scadenze per l’invio telematico per il 2017 sono quelle sottostanti:

TRIMESTRE Scadenza Comunicazione trimestrale dei dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche
I trimestre (1.01 – 31.03) 31.5 anno n
II trimestre (1.04 –  30.06) 16.9 anno n
III trimestre (1.07 –  30.09) 30.11 anno n
IV trimestre (1.10 –  31.12) 28.02 anno n+1

L’adempimento non interessa i contribuenti che sono esonerati dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA, ovvero che sono esonerati dall’effettuazione delle liquidazioni periodiche.

A partire dal 2018  le scadenze sopra dovrebbero valere anche per gli spesometri trimestrali.

Si attendono comunque chiarimenti da parte dell’agenzia delle entrate per quanto riguarda la conferma delle scadenze per la presentazione telematica e le esenzioni di compilazione e invio.

Diventa socio di una startup e lo Stato ti sconta il 30% dalle tasse. 

La nuova legge di bilancio, dai commi 66 a 68,  innalza al 30% e fino a 3 anni sia la quota detraibile annualmente dall’Irpef in capo ad uno stesso soggetto a un milione di euro, che le deduzioni Ires (fino a 1,8 milioni), indipendentemente dalla tipologia di startup innovativa beneficiaria dell’investimento.

Tradotto, il nuovo socio persona fisica o impresa che entra nel capitale di una startup, potrà “scontare” dalle proprie tasse un terzo della somma versata nell’aumento di capitale. Ovviamente, per i redditi 2017, quindi non nella prossima dichiarazione dei redditi ma in quella del 2018.

Sorgente: Diventa socio di una startup e lo Stato ti sconta il 30% dalle tasse. Cosa devi sapere

Arte, cambiamento e pregiudizio 

Delle donne e del mercato dell’arte. Un rapporto ancora difficile.
Ne abbiamo scritto su Artribune.

Ci sono momenti in cui la prospettiva cambia o, per meglio dire, cambia il nostro modo di osservare le cose e nuove opportunità si rivelano. Momenti in cui le regole si modificano e il gioco diventa nuovo, momenti in cui il mondo o una sua parte come li abbiamo sempre immaginati non esistono più.
È questione di un attimo, talvolta. Lo raccontava Baricco in una delle sue Palladium Lectures a proposito della Bellezza e dei suoi canoni che sono cambiati all’improvviso con l’apparizione di Kate Moss. All’improvviso, come quando Fosbury vinse le Olimpiadi del ’68 cambiando tecnica e il salto in alto non fu più lo stesso.
O, come racconta Kirk Varnedoe all’inizio del suo libro, Una squisita indifferenza, quando William Webb Ellis “con squisita indifferenza per le regole del calcio dell’epoca prese la palla tra le braccia e si mise a correre dando così origine alla peculiare caratteristica del rugby”. La stessa squisita indifferenza con cui gli impressionisti cambiarono il corso dell’arte cogliendo le potenzialità che altri, per tradizione, scarso coraggio o semplicemente per non averci pensato, non avevano colto prima.
C’è sempre un momento che è la somma dei momenti precedenti e, improvviso o atteso, segna il punto di non ritorno. Un momento che ha il rumore di una serratura che scatta, di un quadro che cade, di un vetro che si rompe.

LA QUESTIONE FEMMINILE

L’arte è cambiamento. Di tecniche, di gusto, di mode, di rilevanza. Ha tempi e modi propri come ognuno di noi, non sempre regolari a volte improvvisi, ma sempre va di pari passo, anzi spesso anticipa, il movimento sinuoso della società e della storia. Eppure c’è un aspetto dell’arte che stride con tutta questa modernità, contemporaneità, avanguardia; un aspetto che rimane costante, anacronistico, incomprensibile. Un aspetto che tende a non cambiare, dove non si è ancora sentito quel rumore là.
Già nel 1985 le Guerrilla Girls si chiedevano se le donne dovessero essere nude per entrare al Metropolitan Museum di New York denunciando il fatto che meno del 5% degli artisti esposti fossero donne contro l’85% dei nudi. Da allora non è cambiato molto e le cifre sono sostanzialmente invariate.
Esiste un pregiudizio di genere o ha ragione George Baselitz a dire che “le donne non sanno dipingere”? L’arte è una retroguardia maschilista, ultimo baluardo giapponese di una guerra persa, o ci sono ragioni economiche nelle scelte di gallerie e case d’aste?
Il fatto è che non c’è gara né in galleria né in casa d’aste e non ce n’è sia in quantità che in stima. Nell’ultimo quinquennio, i lotti “femminili” battuti in asta dalle principali compagnie non hanno mai superato il 10% e il loro valore medio è sempre stato decisamente inferiore a quelli dei loro colleghi.
Certo, ci sono Louise Bourgeois, Yayoi Kusama e qualche altra, ma il fatto è anche che a chiedere in giro il nome di una pittrice ci verrà risposto, se va bene, Artemisia Gentileschi. Un’artista del Seicento come se non fossero passati quattrocento anni, se non fossero esistiti impressionismo, modernismo, avanguardie, futurismo e tutto il resto. E neanche la Street Art. E allora forse è anche colpa nostra.

UNA BATTAGLIA DI GENERE

Anche la lista dei 200 più importanti collezionisti stilata annualmente da ArtNews ci dice qualcosa: è formata per quasi la metà da coppie o famiglie mentre il resto è diviso in proporzione 80/20 e potete immaginare a quale numero corrispondono le collezioniste. Forse anche per questo bisogna scendere molto in basso nelle classifiche del fatturato degli artisti per trovare una donna e non conviene aspettarsi una nutrita presenza femminile sulle pareti dei musei con l’eccezione del National Museum of Women in the Arts di Washington.
In un articolo uscito sul New York Times Greg Allen raccontò questa battaglia di genere in cui fu coinvolta anche Lee Krasner, espressionista astratta più famosa per aver sposato Pollock che per il suo evidente talento. La Krasner chiese al suo mentore Hans Hofmann una mano per esporre i suoi quadri in una galleria. Hofmann dichiarò, con un complimento che oggi definiremmo sessista, che i quadri erano “belli che non li crederesti opera di una donna”. E rifiutò. Non c’è niente da dire: l’arte prodotta dalle donne è considerata meno importante e questo è sbagliato sotto il profilo etico e uno spreco sotto quello economico.
O un’opportunità, forse. Perché ci sono momenti in cui la prospettiva cambia, in cui la serratura scatta, il vetro si rompe. Nel rapporto tra mercato dell’arte e donne non si è ancora sentito il rumore del cambiamento ma questo non significa che non avverrà (e certamente avverrà) e allora non avrà più senso una distinzione di prezzo tra le opere di Damien Hirst e quelle di Rachel Whiteread. Comprare opere di artiste adesso potrebbe essere un affare.

Sorgente: Arte, cambiamento e pregiudizio | Artribune

L’inquinamento ambientale

Il rispetto dell’ambiente e per gli esseri viventi è un segno di civiltà da cui il progresso scientifico e quello civile non possono prescindere: sostenere il progresso ma farlo in maniera sostenibile.

E’ da poco uscito alla stampa il volume L’inquinamento ambientale, riflessioni normative e bioetiche, a cura di Maurizio de Tilla, Lucio Militerni e Umberto Veronesi, Utet giuridica, 2016 – che è il settimo di quelli curati, elaborati e redatti da giuristi che da oltre 10 anni collaborano con la Fondazione Umberto Veronesi [1]- che affronta il difficile tema dell’inquinamento ambientale partendo dal presupposto che il progresso tecnologico, se da un lato ha inciso maniera significativa sul benessere della collettività (almeno di quella parte della popolazione mondiale che ne costituisce una minoranza), dall’altro ha ingenerato, anche, pericoli dirompenti sull’equilibrio degli ecosistemi naturali e sulla stessa salute dell’uomo che in essi si trova a vivere.

L’intento della pubblicazione è, così, quella di affrontare il tema dell’inquinamento ambientale nei suoi aspetti giuridici (l’ambiente e gli strumenti posti dall’ordinamento giuridico a sua tutela, il diritto ambientale come diritto in sé costituzionalmente riconosciuto, la rilevanza penale dei fenomeni di inquinamento e gli strumenti di repressione dei fenomeni criminosi), e scientifici (la presa di coscienza che, nella lotta all’inquinamento ambientale, la “prevenzione” è strumento primario rispetto alla “cura” del danno ambientale, la valutazione degli effetti della contaminazione ambientale sulla comunità, la sicurezza agroalimentare, lo sviluppo sostenibile).

Il prossimo 19 gennaio 2017, ore 18,30 (in Milano, Palazzo Bovara, Sala Castiglioni, Corso Venezia, 51) si terrà l’incontro di presentazione del volume nel corso del quale interverranno gli autori e alcuni dei massimi esperti del settore scientifico.

In allegato la brochure di prestazione dell’evento. I posti sono limitati, è necessario confermare la propria partecipazione (02/76.01.81.87 – eventi@fondazioneveronesi.it).

[1] I precedenti hanno trattato i seguenti temi: La fecondazione assistita, Riflessioni di otto giuristi (2005); Testamento biologico. Riflessioni di dieci giuristi (2006); Nessuno deve scegliere per noi (2007); La parola al paziente. Il consenso informato ed il rifiuto delle cure (2008); Cellule staminali. Etica e qualità della vita. Normativa europea e legislazione internazionale (2012); Fecondazione Eterologa (2013).

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Un nuovo modello per le dichiarazioni d’intento

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 dicembre 2016 è stato approvato un nuovo modello per la dichiarazione d’intento per le operazioni di acquisto da effettuare a partire dal 1° marzo 2017.

La novità riguarda l’eliminazione, dal modello della dichiarazione di intento attualmente in uso, dei campi 3 e 4 “operazioni comprese nel periodo da… a…”, ossia l’indicazione di voler effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell’IVA per le operazioni comprese in un determinato periodo temporale ovvero nell’anno solare.

Con il nuovo modello, gli operatori dovranno prestabilire, già al momento della presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate, l’ammontare specifico del plafond che intendono utilizzare presso ciascun fornitore.

L’esportatore abituale dovrà pertanto compilare:

  • il campo 1 se intende richiedere al proprio fornitore di non applicare l’imposta con riferimento ad una sola operazione;
  • il campo 2 se intende richiedere al proprio fornitore di non applicare l’imposta per più operazioni ma comunque entro una determinata soglia.

L’introduzione del nuovo modello di comunicazione e la sua decorrenza a far data dal mese di marzo 2017 hanno tuttavia generato alcuni dubbi con riferimento alla compilazione e all’invio del modello fino al 28 febbraio 2017 anche perché generalmente nel periodo che coincide con l’inizio dell’anno si ha un incremento considerevole di dichiarazioni di intento emesse in vista delle operazioni da effettuarsi nel nuovo anno fiscale.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che solo i contribuenti che hanno compilato la dichiarazione di intento indicando un limite temporale (ad esempio “operazioni comprese dal 01/01/2017 al 31/12/2017”) dovranno necessariamente presentare una nuova dichiarazione d’intento per le operazioni da effettuare a partire dal 1° marzo 2017.

I contribuenti che al contrario avranno presentato la dichiarazione indicando il plafond che intendono utilizzare (per una singola operazione ovvero per più operazioni) non dovranno inviarne una nuova utilizzando il nuovo modello.

Riassumendo, gli adempimenti in capo all’esportatore abituale anche in seguito all’adozione del nuovo modello di dichiarazione saranno, quindi:

  1. predeterminazione già al momento della presentazione della dichiarazione di intento all’Agenzia delle Entrate, dell’importo degli acquisti senza applicazione dell’IVA ex art. 8 co. 1 lett. c) del DPR 633/72 presso ciascun fornitore, indipendentemente dall’intervallo temporale di utilizzo;
  2. trasmissione in via telematica delle dichiarazioni di intento, da consegnare al proprio fornitore, all’Agenzia delle Entrate, la quale rilascerà apposita ricevuta telematica con l’indicazione dei dati contenuti nella dichiarazione di intento trasmessa dall’esportatore abituale;
  3. consegna al proprio fornitore, ovvero in dogana, della dichiarazione di intento già trasmessa all’Agenzia delle Entrate, unitamente alla ricevuta telematica relativa alla presentazione della stessa.

 Relativamente al fornitore dell’esportatore abituale (per il quale tuttavia nulla cambia) gli adempimenti al fine di poter emettere fattura senza applicazione dell’IVA saranno, invece:

  1. ricezione della dichiarazione di intento da parte del proprio cliente;
  2. verifica dell’avvenuta presentazione telematica all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione di intento mediante il servizio online “Verifica ricevuta dichiarazione d’intento in quanto è possibile emettere fattura senza applicazione dell’iva solo successivamente al riscontro di tale documentazione.

Benefici circolari

L’importanza dei commercialisti per l’impresa culturale. L’importanza dell’impresa culturale per l’economia. L’importanza dell’economia per i commercialisti.

Un intervento nel corso del convegno dello scorso dicembre in Triennale alla presenza del ministro Franceschini e dell’on. Irene Manzi

Appello contro l’ignoranza: l’indulgenza sull’ignoranza è il canto del cigno dell’occidente

<<Parlare e riflettere contro l’ignoranza pare oggi più che mai la cosa giusta da fare, in quanto la nostra società è permeata da fondamentalismi di matrice ideologica e religiosa, che minano il nostro vivere e il nostro futuro. Una pancia (giustamente) scontenta reclama un cambiamento che colmi un crescente vuoto economico, valoriale, identitario. L’élite culturale sembra rispondere in modo non adeguato con un linguaggio (necessariamente?) settario e spesso poco efficace. A ciò si aggiunga un contesto caratterizzato da risorse scarse per l’istruzione e le politiche sociali, scarsa meritocrazia e alta viscosità nel sistema imprenditoriale. L’ignoranza declinata in diverse forme di populismo gioca e giocherà quindi un ruolo crescente e sempre più determinante.

La premessa ovvia è che siamo tutti ignoranti, la conoscenza non significa onniscienza, ma avere gli strumenti per decodificare il mondo in cui viviamo. Perciò diverso è difendere il socratico so di non sapere, quindi cerco di colmare la mia ignoranza”, dal difendere l’ignoranza come forma statica di indolenza, di inconsapevolezza dei propri limiti.

L’”ignoranza indolente” determina una incapacità sostanziale di possedere proprio quegli strumenti necessari per acquisire conoscenza e per prendere conseguenti decisioni consapevoli. Se storicamente l’ignoranza è sempre stata coltivata da e nei regimi totalitari e dittatoriali, oggi serpeggia e dilaga nelle nostre società (pseudo) democratiche. Tali sistemi vedono nell’ignoranza una facile soluzione di controllo sociale e il pericoloso confine tra “coltivare l’ignoranza” e “lasciare che l’ignoranza si diffonda” è sempre più labile. I populismi che ne stanno derivando sono talmente forti e capillari dall’essere il vero nuovo vero paradigma socio-economico, complementare e contraltare al crescente divario tra classi sociali e alla concentrazione della ricchezza.

Da decenni tanta politica, ma anche tanta cultura, sembra legittimare sempre più l’ignoranza. E’ innegabile che politici, intellettuali e ancora di più i personaggi cosiddetti “famosi” siano punti di riferimento, esempi, non solo per i giovani. Ciò è tanto più vero alla luce del progressivo svuotamento della funzione educativa della famiglia, in qualsiasi modo la si voglia contare, considerare e definire. Esser circondati da politici che palesano senza imbarazzo o senso di colpa alcuno la propria ignoranza delle lingua straniere e/o dell’italiano che esempio è? I mezzi di comunicazione che indugiano sulla comunicazione rissosa, che confortano il pubblico elevando la gaffe a dignità di figura retorica che esempio forniscono? Al riguardo liberiamoci dall’equivoco che tutto ciò segnali il sussistere in Italia di un elevato grado di libertà di espressione. Popper spiegava con una efficace metafora il significato di “libertà di espressione”: la vera libertà di espressione è il potere e sapere rispondere agli insulti, dare anche pugni, senza mai arrivare al naso dell’altra persona.

Criticare apertamente l’ignoranza è il primo passo e segnale che non si può e non si deve salire sull’aventino. Questa riflessione spera quindi di essere un appello contro l’ignoranza: l’orgoglio di essere ignoranti è il canto del cigno dell’occidente, inteso come cultura fondata sulla democrazia partecipativa. Andare contro l’ignoranza è un elogio della modestia, dell’altruismo, del senso civico, di tutti quei valori che se da un lato richiedono impegno e sacrificio nell’immediato, ripagano con la progettualità e la speranza non fideistica nel futuro. L’elogio dell’ignoranza, al contrario, è un invito all’egoismo, all’inerzia e al sopravvivere nell’oggi senza alcuna speranza di un domani migliore.

Aristotele nel primo libro della Metafisica sosteneva che si può definire essere umano solo colui che aspiri alla conoscenza. Dante riprendeva tale idea parlando di un uomo nato non per esser bruto, ma per perseguire la conoscenza. Non possiamo che condividere tale idea e credere che rinunciare alla conoscenza voglia dire sminuire l’idea stessa di essere umano; idea che va ben al di là della definizione tassonomica di homo sapiens. Seguir virtute e canoscenza è senz’altro una strada che richiede impegno, ma che una volta intrapresa non può essere fermata: la conoscenza permette di comprendere la propria finitezza e stimola al superamento dei limiti, siano essi dell’individuo e/o del mondo che si vive. Conoscere in fondo significa dare al futuro strumenti per essere migliore.>>

Milano – Genova 28 dicembre 2016
Sabino Maria Frassà & Nicla Vassallo
per ama nutri cresci

Sorgente: Appello contro l’ignoranza: l’indulgenza sull’ignoranza è il canto del cigno dell’occidente

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