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Arte, cambiamento e pregiudizio 

Delle donne e del mercato dell’arte. Un rapporto ancora difficile.
Ne abbiamo scritto su Artribune.

Ci sono momenti in cui la prospettiva cambia o, per meglio dire, cambia il nostro modo di osservare le cose e nuove opportunità si rivelano. Momenti in cui le regole si modificano e il gioco diventa nuovo, momenti in cui il mondo o una sua parte come li abbiamo sempre immaginati non esistono più.
È questione di un attimo, talvolta. Lo raccontava Baricco in una delle sue Palladium Lectures a proposito della Bellezza e dei suoi canoni che sono cambiati all’improvviso con l’apparizione di Kate Moss. All’improvviso, come quando Fosbury vinse le Olimpiadi del ’68 cambiando tecnica e il salto in alto non fu più lo stesso.
O, come racconta Kirk Varnedoe all’inizio del suo libro, Una squisita indifferenza, quando William Webb Ellis “con squisita indifferenza per le regole del calcio dell’epoca prese la palla tra le braccia e si mise a correre dando così origine alla peculiare caratteristica del rugby”. La stessa squisita indifferenza con cui gli impressionisti cambiarono il corso dell’arte cogliendo le potenzialità che altri, per tradizione, scarso coraggio o semplicemente per non averci pensato, non avevano colto prima.
C’è sempre un momento che è la somma dei momenti precedenti e, improvviso o atteso, segna il punto di non ritorno. Un momento che ha il rumore di una serratura che scatta, di un quadro che cade, di un vetro che si rompe.

LA QUESTIONE FEMMINILE

L’arte è cambiamento. Di tecniche, di gusto, di mode, di rilevanza. Ha tempi e modi propri come ognuno di noi, non sempre regolari a volte improvvisi, ma sempre va di pari passo, anzi spesso anticipa, il movimento sinuoso della società e della storia. Eppure c’è un aspetto dell’arte che stride con tutta questa modernità, contemporaneità, avanguardia; un aspetto che rimane costante, anacronistico, incomprensibile. Un aspetto che tende a non cambiare, dove non si è ancora sentito quel rumore là.
Già nel 1985 le Guerrilla Girls si chiedevano se le donne dovessero essere nude per entrare al Metropolitan Museum di New York denunciando il fatto che meno del 5% degli artisti esposti fossero donne contro l’85% dei nudi. Da allora non è cambiato molto e le cifre sono sostanzialmente invariate.
Esiste un pregiudizio di genere o ha ragione George Baselitz a dire che “le donne non sanno dipingere”? L’arte è una retroguardia maschilista, ultimo baluardo giapponese di una guerra persa, o ci sono ragioni economiche nelle scelte di gallerie e case d’aste?
Il fatto è che non c’è gara né in galleria né in casa d’aste e non ce n’è sia in quantità che in stima. Nell’ultimo quinquennio, i lotti “femminili” battuti in asta dalle principali compagnie non hanno mai superato il 10% e il loro valore medio è sempre stato decisamente inferiore a quelli dei loro colleghi.
Certo, ci sono Louise Bourgeois, Yayoi Kusama e qualche altra, ma il fatto è anche che a chiedere in giro il nome di una pittrice ci verrà risposto, se va bene, Artemisia Gentileschi. Un’artista del Seicento come se non fossero passati quattrocento anni, se non fossero esistiti impressionismo, modernismo, avanguardie, futurismo e tutto il resto. E neanche la Street Art. E allora forse è anche colpa nostra.

UNA BATTAGLIA DI GENERE

Anche la lista dei 200 più importanti collezionisti stilata annualmente da ArtNews ci dice qualcosa: è formata per quasi la metà da coppie o famiglie mentre il resto è diviso in proporzione 80/20 e potete immaginare a quale numero corrispondono le collezioniste. Forse anche per questo bisogna scendere molto in basso nelle classifiche del fatturato degli artisti per trovare una donna e non conviene aspettarsi una nutrita presenza femminile sulle pareti dei musei con l’eccezione del National Museum of Women in the Arts di Washington.
In un articolo uscito sul New York Times Greg Allen raccontò questa battaglia di genere in cui fu coinvolta anche Lee Krasner, espressionista astratta più famosa per aver sposato Pollock che per il suo evidente talento. La Krasner chiese al suo mentore Hans Hofmann una mano per esporre i suoi quadri in una galleria. Hofmann dichiarò, con un complimento che oggi definiremmo sessista, che i quadri erano “belli che non li crederesti opera di una donna”. E rifiutò. Non c’è niente da dire: l’arte prodotta dalle donne è considerata meno importante e questo è sbagliato sotto il profilo etico e uno spreco sotto quello economico.
O un’opportunità, forse. Perché ci sono momenti in cui la prospettiva cambia, in cui la serratura scatta, il vetro si rompe. Nel rapporto tra mercato dell’arte e donne non si è ancora sentito il rumore del cambiamento ma questo non significa che non avverrà (e certamente avverrà) e allora non avrà più senso una distinzione di prezzo tra le opere di Damien Hirst e quelle di Rachel Whiteread. Comprare opere di artiste adesso potrebbe essere un affare.

Sorgente: Arte, cambiamento e pregiudizio | Artribune

Startup culturali. Il punto della situazione 

Un nostro nuovo articolo per Artribune

Lo scorso 30 settembre si è tenuto a Mantova, durante ArtLab16 organizzato dalla Fondazione Fitzcarraldo, un incontro con la Commissione Cultura della Camera dei Deputati sulla proposta di legge in materia di startup culturali in corso di discussione.Tale proposta, che si inserisce in quel solco dettato da una nuova sensibilità politica sulla materia culturale e sui positivi risvolti economici che questa comporta, è certamente un punto di partenza meritorio che è possibile implementare e che, anzi, è già stato oggetto di profonda modifica da parte della Commissione, la quale ha dato segno di democrazia accogliendo le prime segnalazioni giunte al testo da parte di operatori e tecnici.

Sorgente: Startup culturali. Il punto della situazione | Artribune

Mercato dell’arte. Burocrazia, regole e passione 

Il prossimo 13 settembre si terrà a Milano un convegno sullo stato del mercato dell’arte in Italia. Parteciperanno la Fondazione Prada, la Galleria Massimo De Carlo, l’Unione Fiduciaria e altri importanti operatori finanziari e culturali. Tutti chiamati a raccolta dai commercialisti milanesi.

Intanto ecco lo stato dei fatti in un nostro articolo per Artribune.

Sorgente: Mercato dell’arte. Burocrazia, regole e passione | Artribune

Il mercato dell’arte spiegato in quattro video 

Arte e denaro: un binomio da sempre controverso ma apparentemente indissolubile. Nonostante l’opera d’arte venga riconosciuta da (quasi) tutti come qualcosa che nasce da motivazioni estranee a quelle del profitto, il mercato dell’arte resta un settore florido, frequentato e sempre in crescita.

Ma com’è nato, e quali sono i suoi protagonisti più importanti? Quali principi lo regolano e in che modo viene percepito dagli artisti e dal pubblico?

A queste e tante altre domande si sforza di rispondere lo speciale video prodotto da Art.sy

Sorgente: Il mercato dell’arte spiegato in quattro video | Artribune

Economia della cultura, Commercialisti, Brexit e rapporto Symbola. Tutto in uno. 

L’economia della cultura, in Italia, è più viva di quanto si pensi, come dimostrato dal rapporto Symbola 2016. Spetta ai professionisti del settore, in prima battuta ai commercialisti, dare linfa all’industria culturale, puntando su cooperazione e conoscenza.

Un nostro articolo su Artribune: Economia della cultura. Il rapporto Symbola | Artribune

Art bonus, società concertistiche e pubblica utilità

L’Art Bonus supera i 100 milioni di donazioni a partire dalla sua prima applicazione di fine 2014 fino a oggi. L’agevolazione fiscale al 65 per cento per le donazioni in cultura, che ci pone all’avanguardia in Europa, si rivela un successo e dimostra quanto cittadini, enti e imprese abbiano a cuore la tutela del patrimonio culturale nazionale”, Ha annunciato Il Ministro Dario Franceschini. 100 milioni, di cui oltre 3 milioni e mezzo provengono da persone fisiche, oltre 45 da enti e fondazioni bancarie e circa 51 milioni da imprese. La Lombardia guida la classifica dei donatori con 33.3 milioni di euro, un terzo della raccolta. Seguono Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. ci sono Regioni a zero: Basilicata, Valle D’Aosta e Molise. Quali gli sviluppi?

Ne abbiamo scritto a quattro mani con Irene Sanesi

(per qualche riflessione più approfondita qui trovate il testo integrale da cui è stato tratto l’articolo: L’art bonus e le società concertistiche)

Sorgente: Art bonus, società concertistiche e pubblica utilità

Vedere a Berna (il mercato in fondo)

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A Basilea, nei giorni di fiera, si vede di tutto, o quasi. Anziane impettite, papillon fuori forma, hipster irriducibili, tanti curiosi la cui curiosità, alla fine, è rimasta tale.
Ho visto coltelli da macellaio da cui pendevano cappotti (Kounellis), una stanza grigia e bellissima come Pompei (Op de Beeck), sei piani di giovani artisti con annessi quattro ristoranti dall’odore poco accattivante (Liste). Ho visto troppi concetti e meno coraggio (ArtBasel) perché abbiamo già visto tutto e forse rimangono da esplorare solo le dimensioni (Unlimited).
Quello che non ho visto, però, è un prezzo (a parte quello del biglietto d’ingresso). Nessun cartello che raccontasse un valore e non costringesse a vincere un naturale imbarazzo di chi non colleziona milioni.
In un luogo e in un tempo deputato al commercio, al contatto che mi piacerebbe diventasse contagio questo continua a sembrarmi sbagliato.
E’ bizzarro, elitario e arrogantemente distaccato: un po’ come la Svizzera, in fondo, dove un caffè che non è un caffè (prezzo esposto, in questo caso) costa cinque franchi ma forse perché la quantità conta più della qualità.
Dove 10 dl di vino fanno rima con 10 euro al cambio corrente e una bottiglia di rosso senza nome 70 (e in questo caso né quantità né qualità).
Poi, però, ho visto la meraviglia fuori fiera. Quella meraviglia che ti ricorda che la bellezza non è questione di soldi ma di cura e passione. Di saperla vedere, soprattutto, e di aver voglia di condividerla, poi.
Fondazione Beyeler, Tinguely, Vitra, Kunst vecchio e nuovo. Pure molto altro dentro e attorno a una città grande come Reggio Emilia.
Parliamone, maledetti svizzeri.

I mille volti di un museo

Le istituzioni culturali stanno affrontando, oggi, e non solo in Italia, un periodo storico di schiacciante rischio e insicurezza (economica, sociale, politica e culturale). Il “rischio”, e come affrontarlo in un clima di diffusa insicurezza, è il principale tema che ogni istituzione culturale contemporanea si troverà ad affrontare nei prossimi anni. Ma il “rischio”, troppo spesso, è solo esorcizzato dalle istituzioni, non accolto, esplorato e infine condiviso con il proprio pubblico, per trasformarlo, insieme, in un potente stimolo per individuare nuove opportunità.

L’arte, e le istituzioni artistiche, dovrebbero essere innanzitutto percepite oggi, invece, da chi le amministra, come potenti strumenti per trasformare il rischio in nuove opportunità. L’arte produce pensiero, come qualunque altra specifica disciplina, con cui può essere messa in relazione in base ai suoi propri parametri conoscitivi.

Sorgente: I mille volti di un museo: intervento di Andrea Viliani | CRPC

La luce alla fine della Galleria

 

Un nuovo articolo per Artribune. Questa volta parliamo di gallerie d’arte.

IL MERCATO IN GALLERIA, TRA PASSATO E PRESENTE
L’attività di galleria d’arte è sempre stata quella di commercio, talent scout e promotore. Di mentore e nume tutelare. Lo era Leo Castelli fin dai suoi esordi a New York, come lo sono ancora oggi le piccole gallerie milanesi. Ma niente rimane uguale a se stesso: cambiano i tempi e i ruoli, spesso mischiandosi. Il successo, però, deriva sempre dall’intuizione e dalla passione (la fortuna, poi, non guasta) e non può essere frutto di sola finzione, moda passeggera o, peggio, inganno.
Max Plank vinse il Nobel per la fisica nel 1918. Tempo dopo, in viaggio per una serie di conferenze in compagnia di un autista, stanco lui e annoiato l’autista, propose a quest’ultimo di sostituirlo davanti al pubblico. In fondo lo aveva ascoltato molte volte raccontare sempre le stesse cose e sapeva a memoria il discorso. La conferenza, nonostante il fraudolento cambio di relatore, fu come sempre un successo, anche al momento delle domande dalla platea. L’oratore improvvisato se la cavò brillantemente, esclamando qualcosa come: “Non mi aspettavo un livello delle domande così basso. E per dimostrarvelo vi farò rispondere dal mio autista!”. Al di là dell’aspetto divertente dell’aneddoto, che come buona parte degli aneddoti si avvicina alla leggenda, il succo sta nel fatto che si può cambiare identità, ma non si può essere ciò che non si è. Ciò che si deve fare non è fingere di essere altro ma crescere, adeguarsi, capire e sviluppare. Studiare.
Le gallerie d’arte, quindi. E come loro le case d’asta. Il futuro del mercato passerà ancora da loro, ma a condizione di un reale rinnovamento, di una crescita economica quanto culturale. Di diventare operatori moderni, non supermercati come alcune ex librerie. Di essere al servizio di un mondo sempre più complesso e che non è certamente quello di cinquant’anni fa. Neanche di dieci, a dire il vero.

TRASPARENZA
I numeri del mercato sono sempre più grandi e la platea più ampia, anche se l’accento viene ovviamente posto sulle vendite record. In realtà, i numeri raccontano che il 90% delle opere cedute in asta ha un valore inferiore a $ 20.000, il 75% sotto i $ 5.000 e questi dati, in galleria, non possono che essere ancora più estremi.
Il mercato, quindi, è fatto da milioni di appassionati, non da pochi, ricchi collezionisti. Da gente che lavora per guadagnarsi anche la possibilità di possedere un’opera d’arte. Da gente che vorrebbe conoscere il prezzo di ciò che desidererebbe/potrebbe comprare senza per questo sentirsi in imbarazzo, per non dire rifiutata. Le gallerie devono diventare luoghi inclusivi se non vogliono perdere fette di mercato, comunicare meglio e, come ha raccomandato Marc Spiegler, direttore di Art Basel, “eliminare liste d’attesa e receptionist poco sorridenti”.

VISIBILITÀ
Se da un lato l’aspetto “fisico” delle gallerie è imprescindibile e deve essere curato per attirare il pubblico e non per creare una esclusività snob che non ha più ragione d’essere, d’altro canto il mercato vive anche dell’ubiquità della rete. Le case d’asta hanno già cominciato a capire l’importanza e la potenza di Internet per i propri affari.
Negli ultimi dieci anni, quasi tutte le case d’asta (il 95%) hanno aperto un sito e buona parte accetta offerte online: nel 2005 non ce n’era quasi nessuna (3%). Le trattative concluse tramite siti sono cresciute in maniera esponenziale e gallerie e case d’asta dovranno fare i conti con questa realtà che di virtuale, a ben vedere, ha solo l’infrastruttura e che può garantire un’impressionante presenza. Con un’attenzione: credibilità e competenza valgono anche in questo strano mondo che amplifica ogni cosa.

INTERNAZIONALIZZAZIONE
Come per ogni azienda (o quasi) di ogni settore (o quasi) anche chi opera nel mercato dell’arte non può più prescindere dal varcare i confini nazionali. C’è un mondo là fuori. Chi ci va fisicamente partecipando a fiere da scegliere con cura e chi, ancor più strutturalmente, aprendo una propria sede all’estero. Chi, come detto sopra, approfittando della visibilità della net economy. Certamente ogni singola azione da sola non può avere successo ma deve essere organizzata da una strategia di crescita complessiva. Le opportunità sono molte, la richiesta esiste, lamentarsi non serve. Serve fare.

Secondo una ricerca di ArtEconomy24, nel 2015 si sono perse per strada 511 gallerie, più di un quinto di quelle esistenti all’inizio dell’anno. Colpa di un mercato difficile, certamente, e soprattutto in Italia. Ma colpa, anche, di una sua scarsa comprensione da parte di chi questo mercato dovrebbe cavalcarlo come un’onda e che invece spesso se ne è lasciato travolgere.

Sorgente: Gallerie e mercato. Le regole vincenti | Artribune

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