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Lombard street

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Benefici circolari

L’importanza dei commercialisti per l’impresa culturale. L’importanza dell’impresa culturale per l’economia. L’importanza dell’economia per i commercialisti.

Un intervento nel corso del convegno dello scorso dicembre in Triennale alla presenza del ministro Franceschini e dell’on. Irene Manzi

La politica, altrove

Ci sono due libri che raccontano involontariamente parte della nostra politica. Due libri precisi e poetici, diversi l’uno dall’altro, entrambi sociali.

Il primo racconta l’estremismo di certe isole, luoghi periferici, limiti rischiosi che dovrebbero essere compresi prima, dalla gloria improvvisa della scoperta alla altrettanto veloce scoperta della propria inutilità. Luoghi in cui le regole si fanno più volubili e relative, votate a una naturale autoreferenzialità, a un autoritarismo primitivo. Luoghi che si parlano addosso, letterari come ogni opposizione più dura che pura, ombelichi del mondo di un mondo piccolo, conservativo e razzista. Il senso di abbandono di Napoleone a Sant’Elena si mischia al fascino confuso del ‘bel niente’ di Semisopochnoi, al tempo stesso estremo occidente e oriente degli Stati Uniti. ‘Il paradiso forse è un’isola. Lo è anche l’inferno’. La Padania, anche.

Il secondo racconta di un gruppo di cloni senza nome, tra la repubblica di Platone e la Città del sole di Campanella, tra principio marxista ‘da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni’ e pensiero ‘volkish’ hitleriano. Una comunità dirigista con un capo barbuto, un rapporto ambivalente con gli intellettuali, senza partiti e sindacati, contrario alla stampa. Un totalitarismo perfetto, tra comunismo e nazismo, una massa pasticciona diretta da un capo che fissa le regole e le sanzioni, che non tollera disobbedienza perché pericolosa per la comunità. Un processo di atomizzazione (come lo chiamò Hanna Arendt) che rende possibile la formattazione individuale. E il bisogno di nemici a cui dare la colpa. Sono i puffi ma anche a voi viene in mente altro, vero?

 

Un anno buono

Ogni anno nuovo è come uno zero. È una scatola da riempire, una pagina bianca e ogni storia possibile. È ‘ciò che non sappiamo ancora su quel non sapere che circonda ciò che crediamo di sapere.’. È il nulla come se nulla fosse niente.

Ogni anno nuovo è la somma di mille propositi, qualche speranza che non sappiamo come finirà, qualche gioia che si spera grande, qualche dolore che vorremmo evitare e riti quotidiani che dovremmo farci piacere un po’ di più.

Ogni anno nuovo può esser uguale ai vecchi ma mai del tutto, può essere molto diverso e dipende anche da noi.

E’ come  Bobby Darin prima di incontrare Sandra Dee. Ed è così che ve lo auguriamo. Buono per vostra volontà.

All’art bonus non bastano i finanziatori

 

Per capire di cosa siamo capaci a volte basta guardare a cosa è già stato fatto. Uno degli interventi del convegno dello scorso 15 dicembre raccontava proprio questo.

Irene Sanesi è innanzi tutto un dottore commercialista ma è, contemporaneamente, tante altre cose tra cui presidente della commissione Economia della Cultura dell’UNGDCEC, presidente della Fondazione per le arti contemporanee in Toscana che gestisce il Centro Pecci a Prato e presidente dell’Opera di Santa Croce.

Proprio in quest’ultima veste si è resa protagonista di una best practice in cui si sono fuse le capacità insite nella nostra professione con le intenzioni di un ente proprietario, di un benefattore privato che ha goduto dell’art bonus e di un finanziatore straniero coinvolto grazie ad un buon uso delle tecniche di fundraising (di questo parla anche un articolo pubblicato su Arteconomy24).

Una somma di competenze, di interessi legittimi e percorsi personali indirizzati alla utilità pubblica in forma di restauro dell’Ultima Cena del Vasari ora esposta a Firenze. Un capolavoro a sua volta al centro del quale c’è la capacità di una professione di tirare le fila strategiche di operazioni anche molto complesse.

Perché all’art bonus non bastano i finanziatori: servono le idee e le persone capaci di tradurle in realtà. Anche per questo ci sono i commercialisti (alcuni, quantomeno).

Gli auguri. Sempre

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Giorni selvaggi di surf. Parla di mare e il mare è una strana bestia, un paradosso affascinante e pericoloso. È un eterno movimento che richiede stabilità, velocità di azione e calma nelle decisioni. Giorni selvaggi parla di una passione, di un’ossessione: scivolare sulle onde per esibirsi sul pelo dell’acqua e nel contempo scomparire al di là della sua schiuma. Di estraniarsi e raccontare. Perché In mezzo al mare non siamo mai davvero soli: c’è con un mondo instabile sotto di noi con cui rapportarsi costantemente.
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Norwegian wood non è solo un manuale per taglialegna. È un manuale di vita, l’elogio della lentezza, della spiritualità, del pensiero. È un libro d’amore. L’amore per la natura, per sé stessi, per le persone che ci preoccupiamo non soffrano il freddo. Quello fuori e quello dentro. È un libro di filosofia nascosta tra gesti semplici e precisi. Quello che in fondo dovrebbe essere ogni nostro giorno.
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Che andiate al mare o nei boschi (ma anche se rimarrete in città o vi trasferirete in un qualsiasi altro posto), che siate ipercinetici o riflessivi leggeteli. Parlano di noi, delle nostre vite e di come dovremmo viverle per vivere bene. E se non volete leggere questi, beh, leggete altro ma leggete. È il nostro modo per augurarvi ogni bene e lunga vita. Lo dice la scienza

Di imprese culturali prossime future. E quello che ne pensiamo.

Su Plus24, allegato del sabato de IlSole24Ore.

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Cultura, yoga, vino e risate. Il welfare secondo noi.

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La casa è il simbolo della stabilità, il luogo delle certezze, quello in cui pensiamo di poter stare bene, dove fidarsi, dove vivere ogni giorno. La casa è un rifugio sicuro che è e sarà, ragionevolmente, per tanto. In qualche modo, al di là del mercato, dei sentimenti, delle paure. La casa è un luogo universale, qualcosa da cui non puoi comunque prescindere, di cui non puoi fare  meno per troppo tempo, un tetto sotto cui rifugiarsi e respirare. Un fondamento indiscutibile non per investitura divina ma per ruolo consapevole e condiviso. È un centro a cui tendere, da cui ripartire, in cui tornare sia che il nostro viaggio ci porti in mare aperto o per strade conosciute. Un porto oltre il vento e le onde.

Noi pensiamo al nostro studio nello stesso modo: una casa solida e sicura fatta di mattoni e non di paglia o fango, costruita sul terreno solido della competenza, arredata di condivisione. Una casa trasparente come quella disegnata da Mies van der Rohe dove nulla è invisibile. Non una reggia gelida o un anonimo condominio ma un luogo comune in cui ognuno sia re a servizio.

Il luogo di lavoro non è, non deve essere, un indirizzo. Non è un posto su una mappa ma dentro di noi. E’, forse, il posto in cui passiamo più tempo da svegli.

Abbiamo sempre creduto allo studio come un luogo aperto e chi ci conosce sa che è davvero così. Allestiamo mostre perché ci piace che le persone ci conoscano per quello che siamo e non solo per ciò che facciamo e perché la bellezza faccia parte del nostro quotidiano. Ospitiamo incontri tra persone curiose e propositive perché è nello scambio delle idee che queste crescono e diventano buone. Organizziamo aperitivi con i colleghi e le feste della nostra grande famiglia perché qui, tra queste mura, non ci sono muri. Perché qui si sta bene. Terremmo concerti se lo spazio lo consentisse.

E’ questo che proviamo a fare: stare bene come in una famiglia in cui si sta bene. Sentirsi a casa. Non è sempre facile ma è il modo in cui noi crediamo che questo tempo si debba intendere: un’occasione di essere parte di qualcosa, un modo per crescere ogni giorno. Assieme.

Per questo, anche, da questa settimana e ogni futura settimana chiunque lavori nei nostri spazi (soci, collaboratori, dipendenti, uomini e donne, tutti insieme) può approfittare di mezz’ora di yoga disegnato su misura per noi.

La condivisione è il nostro welfare.

Lombard street. Il primo

 

FocusOn 3.2016

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Abbiamo pubblicato un nuovo numero di FocusOn, come sempre in collaborazione con lo Studio Legale de Tilla.

Potete leggerlo in pdf qui o sfogliarlo su Issuu qui.

(le immagini di copertina e all’interno sono di Adriano Attus e Alfred Drago Rens. – courtesy galleria l’Affiche – e fanno parte di ‘Numerage‘, progetto attualmente in mostra presso lo studio)

 

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