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Sulla moda italiana incombe anche il pericolo Cina: rischi per la manifattura se passerà la linea pro Wto

Chi pensa che il rischio-Cina arrivi dal rallentamento della crescita, dall’ottovolante borsistico o dalle fluttuazioni valutarie, non ha ancora bene compreso la portata di un’opzione che è ormai dietro l’angolo, evidenziata dall’editoriale “I dubbi dell’Europa e la tagliola cinese”, pubblicato sul Sole 24 Ore del 14 gennaio: l’imminente arrivo dello status di economia di mercato che, secondo Pechino, spetterebbe alla Cina dal prossimo dicembre a seguito del Trattato di adesione alla Wto firmato a Doha nel lontano 2001.

Sorgente: Moda24 – Il Sole 24 ORE

Cinque cose sbagliate sull’economia cinese 

Quando la borsa cinese crolla, come ha fatto questa settimana, i mercati mondiali accusano il colpo. Ma quanto dobbiamo essere davvero preoccupati per l’economia cinese? È la seconda al mondo, ma rimane ancora oggi opaca e poco compresa.

Ecco cinque errori che si fanno spesso quando se ne parla.

Sorgente: Cinque cose sbagliate sull’economia cinese – Il Post

Il marchio CE e la truffa dei cinesi 

Come tutti sanno, il marchio di qualità e garanzia sui prodotti europei, è un semplice logo con le lettere “c” ed “e”, cioè CE. Semplice, semplicissimo. Per cui, quando si compra un prodotto con il marchio CE, si può stare sicuri che sia fatto seguendo la normativa europea. No, sbagliato. Errore.

Forse non lo sanno tutti, ma anche la Cina usa la sigla CE, per indicare “China Export”. Le due sigle sono uguali, ma la cosa notevole è che anche i marchi lo sono. O meglio, si somigliano tantissimo. Questione di millimetri.

Sorgente: Il marchio CE e la truffa dei cinesi – Linkiesta.it

La crisi della Cina e il mercato dell’arte 

Il ruolo che oggi gioca il mercato cinese nel contesto internazionale è paragonabile a quello che gioca negli altri mercati: dopo anni di crescita a dir poco smisurata (il mercato dell’arte cinese è cresciuto del 214% tra il 2009 e il 2014) il 2015 è iniziato con un brusco raffreddamento dell’euforia (registrando un -39% dei lotti venduti rispetto al 2014), permettendo agli Stati Uniti di riacquisire il ruolo di top player

Sorgente: La crisi della Cina e il mercato dell’arte | Artribune

Sboom cinese. Conseguenze sul mercato dell’arte 

I dati relativi al primo semestre 2015 (fonte Artnet) evidenziano una diminuzione del 6% delle vendite in asta a livello globale rispetto allo stesso periodo del 2014 (8,1 miliardi di dollari contro gli 8,6 del 2014), influenzata dal calo del 30% del volume d’affari in Cina. Gli Stati Uniti, invece, con una crescita del 19% rispetto all’anno precedente, allungano il passo nel podio mondiale, rappresentando il 42% del giro d’affari del primo semestre, seguiti dal Regno Unito. La Cina (con Hong Kong) scivola così al terzo posto, mentre i suoi due principali artisti, Zhang Daqian e Qi Baishi, solitamente ai vertici della classifica degli artisti per fatturato, si ritrovano al di fuori della Top 10, alle posizioni 12 e 13.

Sorgente: Sboom cinese. Conseguenze sul mercato dell’arte | Artribune

1931, il signor Wu a Milano

In «Primavere e autunni» Rocchi e Demonte hanno lavorato su memorie famigliari, materiali custoditi con cura: le fotografie di Wu, i suoi documenti, le lettere.

Una traccia che lega insieme le trasformazioni della Cina e quelle della nazione d’adozione, con le ansie per la propria condizione in un Paese ignoto che man mano mutano nelle preoccupazioni per la sorte della famiglia d’origine, travolta dalla guerra con il Giappone, dalla guerra civile, dalle diverse stagioni del comunismo di Mao Zedong.

Sorgente: 1931, il signor Wu a Milano. “L’epopea di mio nonno è un fumetto” | Le vie dell’Asia

Guardare senza vedere (boom, bang, gulp)

Guardare non è solo un atto percettivo ma si intreccia con il vissuto, la storia e la memoria dando luogo a una esperienza complessa dove non esistono regole e dove vedere significa essere costantemente sorpresi da qualcosa. *

Viviamo in un mondo in cui tutto è fotografato, ridotto a figura, diminuito di una dimensione e di molto senso. E così, quando un’immagine ci ricorda che fotografare è anche testimonianza, racconto e, perché no, dolore, ci si sorprende o, peggio, ci si indigna.

Come ogni eccesso, il troppo guardare non ci insegna a leggere mentre le informazioni che le fotografie portano con sé non ci raggiungono più. La consuetudine all’atrocità rende l’orrore normale e distante e come ogni consuetudine annulla il significato, secca i cuori. Abbiamo visto troppi Vietnam, troppa violenza, troppe guerre per riuscire ancora a immaginarne una. Dopo aver visto molte fotografie tragiche e tristi ci si sconvolge meno, disse Susan Sontag. Le immagini stanno consumando lo spazio pubblico di pensiero. Dovremmo tutti metterci a dieta, limitarne il consumo. La gente non ricorda tramite le fotografie ma ricorda solo le fotografie.

Guardiamo senza aver voglia di capire, con il corpo affogato in un mare gelatinoso di dati e la testa rigorosamente in superficie a fingere di respirare mentre per difesa o emulazione parliamo spesso senza più cognizione. Leggiamo piegando il senso, interpretando forzosamente, senza diritto per una replica perché una replica, in fondo, non ci interessa. Ogni tema ridotto a titolo, riassunto, sfiorato.

È allo stesso modo che abbiamo visto troppi lupi per capire Wall Street, per prevedere una Cina. Abbiamo a disposizione listini e commenti, la Borsa in casa, servizi televisivi e fotografie della situazione: investire non è mai stato così facile e spensierato. Ma ancora ci sorprendiamo della speculazione, ancora non sappiamo starne alla larga. Ancora balliamo il ballo della sedia e giochiamo il gioco del cerino.

Ogni fotografia è la somma di tutto ciò che è successo, un’immagine che, quando è letta con attenzione, tutto questo ce lo racconta e che, invece, abbiamo disimparato a guardare per troppa esposizione. L’economia non è una scienza esatta, men che meno la sua parte aggressiva e arrogante che chiamiamo finanza. Non è esatta da noi in occidente né può esserlo dall’altra parte del mondo. Ma questo dovremmo saperlo, dovremmo conoscere la precisione di questa inesattezza. Dovremmo ancora saper leggere.

Investire in Cina credendo che un’economia cresca all’infinito, che a un boom non corrisponda un bang, che tutto questo non sia comandato, forzato e finto, è ingenuo o scriteriato. Affidare i propri soldi a società di cui non conosciamo la propensione al profitto, il cui valore di Borsa è frutto di operazioni esterne all’azienda più che alle capacità interne, di cui a volte non sappiamo neanche il nome, non ha più senso dell’affidarli a un cognato che, statisticamente, prima o poi potrebbe giocarseli al casinò. Lo abbiamo fatto ai tempi della new economy, lo abbiamo fatto con gli immobili a Dubai ma le mode negli affari dovremmo lasciarle ai sarti.

La bolla cinese è come una macchia su una fotografia che abbiamo guardato senza vedere.

*John Berger, Sul guardare, Bruno Mondadori, Milano, 2003.

Il crollo delle borse, spiegato

Il pessimo periodo della borsa di Shanghai è cominciato lo scorso 12 giugno. La condizione in cui si trova il mercato cinese sembra avere tutte le caratteristiche di una bolla finanziaria: i prezzi delle azioni nell’ultimo anno erano cresciuti moltissimo senza particolari ragioni collegate ai risultati delle aziende. Gran parte della crescita della borsa di Shanghai è stata trainata da ChiNext, l’indice che raccoglie le maggiori società tecnologiche della Cina: il corrispettivo di quello che è il NASDAQ per la borsa statunitense. Secondo molti analisti quello che sta avvenendo nel mercato finanziario cinese è molto simile alla bolla dei titoli “dotcom” del 1999, la cosiddetta “bolla della new economy”: una crisi finanziaria generata da un eccessivo entusiasmo per le nuove aziende digitali statunitensi.

viaIl crollo delle borse, spiegato – Il Post.

L’importanza di un accordo Europa-Cina, per contrastare gli Stati Uniti

Poco più di trenta anni fa, nel marzo del 1982, la Cina siglava il primo trattato di investimento bilaterale (Bit) con un Paese membro dell’Unione Europea, la Svezia. Dal giorno di quello storico accordo, la Cina ha ormai sottoscritto trattati di investimento bilaterale con tutti gli Stati membri dell’Unione, ad eccezione dell’Irlanda, facilitando in questo modo il flusso di investimenti che ha contribuito alla crescita economica del Paese.

Gli attuali 27 accordi vincolanti tra i Paesi Ue e la Cina presentano caratteristiche fra loro differenti a seconda dello specifico periodo in cui sono stati siglati e del potere contrattuale esercitato dal singolo Stato.

A seguito dei numerosi cambiamenti economici e politici avvenuti nel corso delle ultime decadi la presenza di uno scenario così altamente frammentato all’interno degli accordi Europa-Cina appare insostenibile. Da un lato, l’incredibile sviluppo economico sostenuto dalla Cina nel corso degli ultimi anni ha drasticamente cambiato lo scenario di investimenti e commercio internazionale, dall’altro il rafforzamento dell’Ue ha portato alla centralizzazione a livello europeo di alcune importanti materie precedentemente di competenza delle singole nazioni.

viaL’importanza di un accordo Europa-Cina, per contrastare gli Stati Uniti | Linkiesta.it.

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