Di fronte a un idraulico che dopo aver riparato il lavandino non emette fattura, ce la si prende con l’idraulico o al massimo col sistema. Difficile che si contesti il lavandino. Con Expo Milano 2015 non sempre funziona così. A finire sotto accusa nel caso di arresti, ritardi o semplici gaffe (ci sono stati tutti e tre) è spesso il grande evento in quanto tale. Azzardiamo una spiegazione: succede perché Expo 2015 – che di per sé non è paragonabile a nessun altro evento, nemmeno alle esposizioni precedenti – è stata più promossa che spiegata.In particolare, poco si è detto su quali sono i suoi obiettivi e su come si pensa di raggiungerli attraverso un grande evento organizzato in questo modo. A poche ore dall’apertura dei cancelli, il primo maggio, vale la pena di provare a riassumere che cosa l’Italia proverà a portare a casa da questo investimento, riflettendo sui pro e i contro che un’esposizione universale pensata in questo modo comporta.
Spesso si sente parlare del Patrimonio culturale del nostro Paese. Altrettanto spesso si tende a volere enfatizzare il valore del nostro patrimonio, e al ruolo di protagonista che l’Italia riveste nel mondo. Eppure, nonostante su questo tema non manchino autorevoli studi, proposte parlamentari e opinioni molto disparate, non si può in alcun modo stabilire quale sia il “valore” di questo patrimonio: inestimabile, si dice. E il discorso passa oltre.
Il risultato è che, nell’era delle misurazioni impossibili, dei big-data e delle catene di “mall” che riescono a capire prima delle loro clienti il loro “stato interessante”, non riusciamo a determinare come e quanto la presenza di queste meraviglie possa incidere sulla ricchezza del nostro Paese.
Si preferisce parlare di “indotto”, parola molto in voga qualche anno fa, o di economie indirette, esternalità, e intanto nei nostri bilanci non c’è posto per la Reggia di Caserta, per il Colosseo o per quella Fontana di Trevi che nessuno al di fuori del genio comico di Totò avrebbe potuto vendere.
viaPatrimonio culturale: una questione di valore | Artribune.
La folla investe nel mattone e costruisce il crowd capitalism, questa almeno è la narrazione alla base del fenomeno che vede il mercato immobiliare incontrare il finanziamento attraverso piattaforme crowdfunding. Il mercato mondiale del crowdfunding immobiliare ha sfondato quota 1 miliardo di dollari e pare destinato a raggiungere i 2,5 miliardi di dollari quest’anno. In Italia l’introduzione delle PMI innovative, soprattutto quelle a vocazione sociale, apre secondo alcuni attori del mercato nuove opportunità.
viaCrowdfunding immobiliare: il sogno nel mattone si fa social – Wired.
viaCrowdfunding immobiliare: il sogno nel mattone si fa social | Start Hub.
I lavoratori tendono a considerare il trattamento previdenziale previsto dalla legislazione vigente nel periodo in cui versavano i contributi come una promessa, un diritto acquisito. Ma quale pensione è economicamente lecito attendersi? La disparità di trattamento fra generazioni.
viaPensioni: dove nascono i diritti acquisiti | Vincenzo Galasso.
1. SPESE SANITARIE
Detraibilità spese massofisioterapista / Detraibilità spese per odontoiatra / Detraibilità spese per crioconservazione / Detraibilità spese per trasporto di disabili
2. SPESE DI ISTRUZIONE
Istituti tecnici superiori – Spese di istruzione / Istituti tecnici superiori – Canoni di locazione
3. RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO
Ordinante del bonifico diverso dal beneficiario / Limite di spesa e autonomia degli interventi edilizi / Trasferimento mortis causa e rate residue della detrazione
4. ALTRE QUESTIONI
Somme corrisposte al coniuge separato per le spese di alloggio / Spese per adozione internazionale / Erogazioni liberali a favore delle ONLUS / Detrazioni per altri familiari a carico / Detraibilità interessi di mutuo e trasferimento all’estero / Detrazione per l’acquisto di mobili e successione / Reddito di lavoro dipendente svolto all’estero / Spese di riparazione degli adattamenti delle autovetture dei disabili / Credito d’imposta riacquisto prima casa
La circolare le trovate qui
L’Istituto nazionale di statistica e il Ministero del Lavoro hanno pubblicato due report interessanti. Il primo ha reso noti i dati sui contratti di lavoro e le retribuzioni contrattuali, il secondo i dati relativi alle attivazioni e cessazioni dei contratti a marzo 2015. Vediamo cosa ci dicono.
L’Istat ha rilevato che alla fine di marzo 2015 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica riguardano il 43,1% degli occupati dipendenti e corrispondono al 39,9% del monte retributivo osservato. L’Istituto nazionale di statistica ha evidenziato che tra i contratti monitorati dall’indagine nel mese di marzo non sono stati recepiti nuovi accordi e nessuno è scaduto e che, sempre alla fine di marzo 2015, complessivamente i contratti in attesa di rinnovo sono 40 (di cui 15 appartenenti alla pubblica amministrazione) relativi a circa 7,3 milioni di dipendenti (di cui circa 2,9 milioni nel pubblico impiego).
L’Istat ha anche preso in esame l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie e ha fatto sapere che nel mese di marzo risulta invariato rispetto al mese precedente e aumenta dell’1,0% nei confronti di marzo 2014. Complessivamente, nei primi tre mesi del 2015 la retribuzione oraria media è cresciuta dell’1,0% rispetto al corrispondente periodo del 2014
Il Ministero del Lavoro ha fatto sapere che nel mese di marzo 2015 il numero di attivazioni di nuovi contratti di lavoro è pari a 641.572. Di questi 162.498 sono contratti a tempo indeterminato, 381.234 sono contratti a tempo determinato, 16.844 sono contratti di apprendistato, 36.460 sono collaborazioni e 44.536 sono le forme di lavoro classificate nella voce “altro”. Secondo quanto reso noto, inoltre, sono state 40.034 le trasformazioni di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, mentre le cessazioni dei rapporti di lavoro sono state 549.273.
viaLavoro, cosa ci dice l’Istat e cosa ci dice il Ministero.
Il nuovo Programma delle infrastrutture strategiche allegato al Def 2015 contiene alcuni elementi innovativi che sembrano delineare un punto di rottura rispetto alla programmazione passata.
Due sono gli elementi che, a nostro avviso, meritano di essere evidenziati come positivi segnali di svolta:
1) la scomparsa della interminabile “lista della spesa” che da più di un decennio veniva riproposta (ogni anno con qualche appendice in più) e la previsione che le opere non incluse nel documento dovranno essere valutate “a valle di un approfondito confronto con le regioni” nella prossima nota di aggiornamento.
2) la “promessa” di un vero cambio di passo nel medio periodo contenuta nelle linee di indirizzo della prima parte del documento, nel quale si scrive che si vuole puntare (anche) su “investimenti “leggeri” a rapido ritorno (tecnologie, velocizzazioni e rimozione dei colli di bottiglia)”.
viaPer un pugno di opere|Paolo Beria, Raffaele Grimaldi e Francesco Ramella.
Pensare che l’Italian sounding sia un “ambasciatore inconsapevole” del nostro modo di produrre e di essere nel mondo, significa esattamente questo: affidare l’immagine dell’Italia a luoghi comuni, alla sottoqualità, alla contraffazione.
È inaccettabile per chi pensa che l’Italia sia invece bellezza, eccellenza, storia, unicità e qualità. Inaccettabile per chi rappresenta le aziende, non solo agroalimentari, che subiscono un grave danno economico. Inaccettabile per chi pensa che la nostra più grande materia prima si chiami Made in Italy — il terzo al mondo, se fosse un brand — e che sia stato proprio il nostro patrimonio culturale e imprenditoriale a portarci fuori dalle peggiori crisi.
viaNon possiamo lasciare vincere l’“italian sounding” | Linkiesta.it.