Qualche anno fa, alla Fabbrica del Vapore, a Milano, venne esposta un’opera di Anish Kapoor: Dirty Corner. Un tubo lungo 60 metri in cui il visitatore poteva/doveva entrare. Un tubo dove la luce diventava penombra e la penombra diventava buio. Un buio completo dove procedere senza saperne la fine. Quel buio dove ti volti, ogni tanto, a vedere la luce che c’era e poi prosegui verso un futuro che non sai. Un tubo che era donna e diventava uomo, che era materia e diventava pensiero, un utero profondo in cui, immergendosi, si possedeva l’opera e se ne usciva con una voglia accresciuta e precisa, con gli occhi pronti al bello, con la mente curiosa e più attenta. Un passaggio che evocava il passaggio, un’idea di rinascita con ogni senso in allerta.
Era il 2011 e Milano non stava tanto bene. Livida e sprofondata per sua stessa mano, arrivava dalla luce e si era infilata in un tunnel, relegata in un angolo sporco e con una strada buia di fronte. Una città stanca ma, lo scopriamo oggi, non esausta. ‘Lo stanco ha esaurito solo la messa in atto, mentre l’esausto esaurisce tutto il possibile. Lo stanco non può realizzare ma l’esausto non può neanche possibilizzare’ scrisse Gilles Deleuze.
Tra allora e oggi i cantieri, la corruzione, le polemiche, gli errori e l’opposizione. Tutto prevedibile come 60 metri da affidare con appalto pubblico. Tra allora e oggi mille idee e non tutte prevedibili.
Finché Expo, alla fine è arrivato come un carrozzone senza ruote, un parco divertimenti soprattutto per chi ci si è già divertito, una fiera di paese diventata campionaria, un riassunto sommario, patinato e unto. Ma al di là di ogni possibile opinione Expo, per Milano, è stata una scintilla, la fine del tubo di Kapoor, gli stessi effetti, la stessa idea di rinascita.
Milano è cambiata. Ha soprattutto cambiato idea di sé. Si è risvegliata liberata come la sua Darsena, nuova come la Fondazione Prada. Bella come la Pietà Rondanini e la Sala delle Asse, Imprevista come il Teatro Continuo, discussa e scintillante come Porta Nuova. Grande come il Mudec e il silos Armani. Una città, orgogliosa e finalmente viva.
In ogni città, per quanto brutta, qualcosa di bello è presente. Questo o qualche cosa di simile diceva Calvino nelle Città invisibili. Ed è a questo piccolo spazio vivo che Milano si è saputa aggrappare, come a un cornicione per non volare giù da un terrazzo. Non più statica e fine a se stessa, non un sasso buttato nel mare e che nel mare affoga. Ma germoglio, radice, progetto e prospettiva, traccia. Una piccola falce che può immaginarsi luna piena. Il seme e il frutto perché il bello porta al bello.
Expo è una madre incongruente? Può essere ma incongruente e meravigliosa è , ad esempio, la Centrale Montemartini a Roma, bellezza su bellezza senza bisogno del tempo. La perfezione ha senso, forse? No, non ne ha mai. Ne ha il fare, il provare, il credere, il cercare. Sbagliare, anche, ma fare. E così ha fatto.
E se tutta questa vita, questa voglia, questi frutti sono il risultato ben venga anche il padiglione McDonald’s.