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L’economia creativa, secondo Florida[1], è quell’economia basata sulla conoscenza e sul talento, in cui il vantaggio competitivo delle imprese si misura dalla loro abilità di attrarre e stimolare risorse umane e capacità. Oltre a contemplare le arti, quali architettura, pittura, letteratura, musica, l’economia creativa comprende anche le scienze, l’attività di ricerca e sviluppo, e quelle attività di produzione e di consumo legate al marketing, alla moda, al design, all’intrattenimento, ai media e allo sport.

L’economia creativa è in forte crescita anche per i cambiamenti che le imprese e i mercati stanno affrontando negli ultimi anni; la diffusione di nuove tecnologie informatiche e di internet e la tendenza a orientare la concorrenza sulla qualità piuttosto che sul basso costo incidono sulla valorizzazione delle idee, della creatività e dell’eccellenza. Di conseguenza assumono rilevanza i copyrights, i brevetti, i marchi e il design come strumenti competitivi a difesa della proprietà intellettuale, a vantaggio quindi delle figure professionali legati a queste competenze, i c.d. creative jobs.

È stato condotto uno studio dalla Fondazione inglese Nesta sull’economia creativa e sul futuro occupazionale; secondo questo studio nel Regno Unito l’economia creativa è un settore cruciale e profondamente radicata nel Paese e i creative jobs non avranno un impatto negativo in relazione al fenomeno della sostituzione macchina/uomo, ritenendo la creatività inversamente proporzionale all’automazione. Ciò è spiegato dal fatto che le macchine possono sostituire l’uomo per quelle prestazioni che possono essere quantificate e valutate in via anticipata e quando l’ambiente di lavoro è sufficientemente semplice per consentirne il controllo. Inoltre, i lavori creativi sono considerati dei good jobs perché hanno elevati livelli di soddisfazioni di vita, redditività e felicità ma anche più elevati livelli di anzianità. Questi fattori potrebbero spingere alla crescita di nuovi posti di lavoro nell’economia creativa, prevedendone un milione entro il 2030.

La Nesta Foundation suggerisce nel suo Manifesto dell’economia creativa, al fine di sfruttare questi fattori, delle raccomandazioni per la politica:

  1. Considerare nell’istruzione generale ed educativa anche le materie artistiche passando dal sistema STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) al STEAM (Science, Technology, Engineering Arts and Mathematics), perché le imprese culturali cercano questo mix multi-disciplinare delle scienze e delle arti;
  2. BIS (dipartimento di business innovazione e skills) e DCMS (dipartimento di Cultura, Media e Sports) dovrebbero stanziare dei fondi per creare dei clusters creativi al di fuori del distretto londinese, coinvolgendo anche i finanziamenti del settore privato, delle autorità locali e fondazioni culturali. Dallo studio condotto risulta infatti una eterogeneità dell’occupazione creativa tra Londra e il resto del Regno Unito;
  3. Il Governo dovrebbe garantire delle infrastrutture digitali che consentano alle imprese creative di sviluppare contenuti di prossima generazione, servizi e applicazioni investendo nella fibra ultraveloce e altre tecnologie ibride come G.fast;
  4. I finanziamenti pubblici dovrebbero, oltre a finanziare il settore dell’arte anche promuovere nuovi e innovati modelli di finanziamento; dovrebbero dedicare almeno l’1% delle spese in bilancio nel settore della R&S;
  5. Il governo dovrebbe istituire una lotteria nazionale per il settore dei videogiochi, secondo il modello della BFI (British Films Institute) che prevede finanziamenti mediante National Lottery per sostenere la produzione cinematografica, la distribuzione, l’educazione, lo sviluppo di ricerche di mercato.

In Italia, secondo uno studio condotto da E&Y, L’industria creativa e culturale si colloca al terzo posto in Italia da un punto di vista occupazionale, dopo il settore edile e quello della ristorazione e alberghiero, e che grazie all’importante contributo intellettuale, il settore è caratterizzato da un’alta concentrazione di capitale umano. In termini numerici, l’ industria della cultura e della creatività ha registrato nel 2015 un valore economico complessivo pari al 2,96% del Pil nazionale, con un tasso di crescita rispetto all’anno precedente del 2,4% dei ricavi diretti. L’86% dei ricavi è rappresentato da ricavi diretti, derivanti cioè dalle attività della filiera creativa quali la concezione, la produzione e la distribuzione di opere e servizi culturali e creativi, mentre il rimanente è dovuto a ricavi indiretti, ovvero quelli relativi ad attività collaterali o sussidiarie.

Le stime effettuate da E&Y nell’ambito dello studio condotto evidenziano che il valore economico è pari solo a due terzi del valore che l’industria della cultura e della creatività potrebbe generare se riuscisse, da un lato a sfruttare le opportunità di crescita e a contrastare le minacce che incombono su di essa, e dall’altro se riuscisse a raggiungere una maggiore valorizzazione potrebbe arrivare ad oltre 500mila posti di lavoro addizionali, passando dagli attuali 1,03 milioni (circa il 4,6% della forza di lavoro italiana) a 1,6 milioni di occupati.

Al fine di poter raggiungere questi obiettivi, le associazioni di categoria chiedono al Governo un sostegno nella difesa del settore da fattori che rappresentano delle concrete minacce allo sviluppo e un impegno nella protezione dei diritti dei titolari dei contenuti creativi e culturali in Europa. Si auspicano inoltre che venga normata la Direttiva Copyright, che fa riferimento alla responsabilità degli operatori tecnologici che utilizzano opere dell’ingegno e che indica come strada maestra la collaborazione tra piattaforme e titolari dei diritti, una maggiore trasparenza per il riconoscimento delle opere e informazioni puntuali sulle utilizzazioni.

Si richiede anche di colmare eventuali lacune normative, dalla regolamentazione fiscale alla formazione: Tax credit, IVA, agevolazioni fiscali, estensione patent box, coinvolgimento del Miur per esigenze formative e soluzioni tecnologiche contro la pirateria. Occorrerà anche puntare sull’internazionalizzazione, attivando nuove sinergie con l’ICE, gli Istituti di Cultura e le Camere di Commercio.

[1] Florida, R. (2002) The Rise of the Creative Class. New York, Basic Books.

(l’immagine è di Massimo Mion “Big Bad Wolf” – sottopasso Garibaldi,  Milano)

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